venerdì 19 novembre 2010
Intervento dell'avv. Elia De Caro

Introduzione

Farei prima di tutto una disamina di quelle che sono le disposizioni penali del testo unico sugli stupefacenti; questo per osservare i comportamenti a rischio dell'utenza e poi passare ai comportamenti con i quali si raffrontano gli educatori durante il loro lavoro. Quindi andremo a vedere una serie di disposizioni che sono quelle che possono rientrare all'interno del concetto di “zona grigia” di lavoro ovvero le condotte di agevolazione ed istigazione che sono previste sia nel testo unico sugli stupefacenti sia nella figura generale dell'istigazione a delinquere. Andremo poi ad osservare anche delle specifiche aggravanti che sono previste nel testo unico e che possono riguardare l'attività di specie. Infine andremo a vedere delle possibili soluzioni e degli strumenti che il testo unico mette a disposizione. Strumenti che, in verità, sono per ora ancora poco agiti tanto dalle amministrazioni centrali che da quelle locali. Strumenti che ad oggi permetterebbero già con la normativa esistente un primo nucleo di tutela per chi svolge professioni nell'ambito educativo.

Il cardine legislativo

La prima disposizione quella cardine nel testo unico sugli stupefacenti da punto di vista penale è l'art.731 dove si elencano tutta una serie di condotte in modo molto accurato e specifico ed un limite di pena molto alto, da sei a venti anni. Vi è poi l'ipotesi invece della lieve entità. In questo caso viene prevista una pena da uno a sei anni.
Sono tutte pene molto alte che autorizzano la possibilità di adozione di misure cautelari.
Vediamo come questo articolo prevede pene molto più alte di quelle previste per la rapina o per lo stupro, quindi vediamo che il terreno nel quale ci si muove sono disposizioni penali di un portata molto severa.
Oltre alle condotte di agevolazione ed istigazione il profilo di rischio per un educatore può essere dato nell'ipotesi concorsuale.
Riprendiamo l'esempio nel quale ci si trova in macchina con un utente che detiene sostanze stupefacente. Ebbene qua siamo proprio di fronte ad una possibile contestazione di un addebito concorsuale. Se quella persona detiene e tu ne sei a conoscenza potresti aver rafforzato il suo principio di condurre con sé sostanze anche al di sopra dei limiti tabellari.2.

Oltre alla disposizione principale prevista dal punto di vista penale segnaliamo l'art. 753 anche se a noi interessa poco in quanto relativo alle norme legate all'uso personale per il quale c'è un procedimento amministrativo e quindi i problemi sono minori.

Aggravanti

Vediamo alcune aggravanti. Le pene dell'art. 73 sono aumentate da un terzo alla metà quando le sostanze stupefacenti e psicotrope sono destinate a persone di età minore. Questo coinvolge anche il caso di specie dove si ha a che fare spesso con un'utenza minorenne. Altre aggravanti per chi ha indotto a commettere reato o a cooperare nella commissione delle stesso una persona dedita all'uso di sostanze stupefacenti4. Ed ancora l'aggravante si ha se l'offerta o la cessione è effettuata in prossimità di scuole, comunità giovanili, ospedali, carceri, caserme, strutture per la cura e riabilitazione di tossicodipendenti. Quindi vediamo come si abbia a che fare non solo con una disposizione penale già significativa (da sei a vent'anni) ma con una possibilità di un ulteriore aggravio molto forte, da un terzo fino alla metà della pena.



Agevolazione ed istigazione

Andiamo a vedere quelle che sono le disposizioni che vengono previste nel testo unico sugli stupefacenti a proposito delle condotte di agevolazione o di istigazione e che vanno al di là della figura generale prevista alla voce “istigazione a delinquere” del codice penale. Oltre allo “storico” articolo 775 sull'abbandono delle siringhe, un articolo che recentemente è stato molto agito dalla magistratura e su cui si è fatto molto propaganda6 è l'art. 797 che a mio avviso interessa molto chi svolge la professione di educatore, operatore di prossimità, operatore di unità di strada. Citando l'articolo “chiunque adibisce o permette che sia adibito un locale pubblico o un circolo privato a luogo di convegno di persone che si danno all'uso di sostanze stupefacenti, è punito, solo per questo fatto da 3 a 10 anni” e, continuando a scorrere: “Chiunque avendo la disponibilità di un immobile, di un ambiente o di un veicolo cioè idoneo adibisce o consente che altri lo adibiscano a luogo di convegno di persone che si danno all'uso, è punito con le stesse pene.”
Andando al caso di specie se in un centro giovanile o simile più volte vengono segnalati episodi di consumo di stupefacenti in teoria si può prevedere la contestazione di questa fattispecie di reato.
Reato che per calarci nell'esperienza del territorio, ad oggi in Bologna è stata applicata ad alcuni posti pubblici che gestivano spazi e che sono stati chiusi con dei provvedimenti di sequestro preventivo proprio in forza al disposto dell'art. 79 in quanto all'interno di questi spazi si presumeva far uso di sostanze stupefacenti.
Andiamo a vedere altre ipotesi relative a queste condotte.
Art. 82 “Istigazione, proselitismo, induzione al reato di persona minore”8 “chiunque pubblicamente istiga all'uso illecito di sostanze, ovvero svolge anche in privato attività di proselitismo, ovvero induce una persona a tale uso, è punito con reclusione da uno a sei anni. La pena è aumentata se il fatto è commesso da più persone nei confronti di persone di età minore, ovvero all'interno e in adiacenza di scuole, comunità giovanile e caserme. Vi sono poi aumenti di pena se il minore ha meno di 13 anni, vi è il divieto di propaganda pubblicitaria” ecc. ecc.


Libertà di cura e segreto professionale
Finora le figure di reato previste in categoria generale.
Vi sono poi casi specifici che chiamano in causa il principio della libertà di cura e del segreto professionale che viene previsto originariamente, in questo testo unico, per il personale sanitario e per il personale che fa capo ai servizi pubblici per le tossicodipendenze. Queste figure potrebbero costituire un primo nucleo in teoria estendibile anche per chi svolge la professione di educatore di prossimità.
Andiamo a vedere, a proposito, due articoli estremamente importanti riguardanti l'affidamento in prova e altri modi di esecuzione della detenzione laddove la legge Fini Giovanardi ha introdotto nel nostro ordinamento una mutazione rispetto al regime precedente in quanto mentre anteriormente vi era nell'ambito dell'attività terapeutica quasi un dovere di segreto professionale per chi vi era preposto, ora l'art. 899 e l'art. 9410 relativi all'affidamento in prova e alla sospensione dell'esecuzione della pena detentiva prevedono determinati obblighi di segnalazione. Andando nello specifico per l'art. 89 vediamo che il comma 5bis, prevede che il responsabile della struttura presso cui si svolge il programma terapeutico di recupero è tenuto a segnalare all'autorità giudiziaria le violazioni commesse dalla persona sottoposta a programma; qualora tali violazioni implichino un reato, l'autorità giudiziaria ne darà poi comunicazione all'autorità competente per la revoca del procedimento.
Perché si è inserito anche questo obbligo di denuncia?
Perché sia sull'affidamento in prova che sulla sospensione dell'esecuzione della pena detentiva questa legge ha ampliato di molto le possibilità di accedere a tali misure: ha ampliato il minimo di pena portandolo a sei anni rispetto al margine precedente che prevedeva, per esempio, per le droghe leggere, pene che andavano da 6 mesi a 4 anni o da uno a 6 anni. Inoltre questa legge ha previsto che per qualsiasi persona, per qualsiasi tipo di reato, al di fuori di reati specifici ben individuati dalla legge, se questi si dichiara alcoldipendente o tossicodipendente e intende seguire un programma di recupero, fino a sei anni di pena, può farlo presso una comunità terapeutica. Così facendo si va a confondere il terreno di custodia con quello di cura. In alcuni casi può essere strumentale il dichiararsi alcoldipendente o tossicodipendente per scontare, sotto i sei anni, una pena in strutture non detentive, però in questo modo, il legislatore, ha inserito questo obbligo di segnalazione che va a scapito dei percorsi più sinceri di cura e recupero.

Al di fuori di questi casi vige sempre la possibilità per chi è inserito in strutture come il Ser.t. o in strutture previste dall'art. 11611 (che andremo ad esaminare nello specifico) di avvalersi del segreto professionale nell'ambito dello svolgimento dell'attività. Questo è un aspetto importante perché estendendo questa possibilità del segreto professionale (di cui all'art. 200 del codice di procedura penale) abbiamo la possibilità di avere un'effettiva sincerità della cura nonché una tutela dell'operatore. Questa disposizione è prevista dal testo unico all'art.120 “terapia volontaria anonimata”: “chiunque fa uso di sostanze può chiedere al Ser.t., o ad una struttura privata autorizzata specificatamente per l'attività di diagnosi, l'anonimato”.
Vediamo in particolare il settimo comma dell'articolo: “gli operatori del Ser.T. e delle strutture private autorizzate, ai sensi dell'art.116 salvo l'obbligo di segnalare all'autorità competente le violazioni commesse dalla persona sottoposta a programma terapeutico alternativo a sanzione amministrativa o a esecuzione di pena detentiva non possono essere obbligate a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione della propria professione, né davanti ad autorità giudiziaria né davanti ad altra attività”. Agli stessi si applicano le disposizioni dell'art. 200 del codice di proceduta penale; si tratta dell'articolo che disciplina il segreto professionale per gli esercenti di professioni quali quella di avvocato e quella di medico e che dice testualmente che chi svolge queste professioni non è tenuto a divulgarle: “non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto in ragione del proprio ministero, ufficio e professione, salvo i casi in cui hanno l'obbligo di riferirne all'autorità giudiziaria, i ministri di confessioni religiose, gli avvocati, i medici, i farmacisti i chirurghi e ogni altro soggetto esercente una professione sanitaria.”. E' importante da questo punto di vista la dizione “ogni altro soggetto esercente una professione sanitaria” anche a livello dell'inquadramento della categoria degli operatori di prossimità, degli educatori. Questo in quanto avvocati o medici hanno una tutela in forza all'appartenenza ad un ordine professionale non previsto, insieme al codice di autoregolamentazione, per chi svolge la funzione di educatore. Faccio un esempio, se a me avvocato vengono richieste alcune informazioni rispetto ad un procedimento che ho in carico, se non mi avvalgo del segreto professionale commetto un illecito professionale che può portarmi fino alla radiazione; in questo caso vi è anche uno strumento interno ulteriore che rafforza la tutela del segreto.12
Quindi una prima chiave da poter sondare per l'estensione di garanzie a chi svolge la professione di operatore di prossimità sarebbe l'estensione del settimo comma dell'art. 120 anche a chi svolge la professione di operatore di prossimità attraverso un ampliamento della figura dell'operatore socio-sanitario oppure attraverso l'aggiunta di una specifica dizione nell'art. 120. Comunque senza necessità di un'innovazione normativa il testo unico mette a disposizione un articolo che fino ad oggi è stato poco utilizzato. Andando a vedere il titolo 10 del testo unico, esso prevede la possibilità di fare attività di prevenzione all'interno di istituti scolastici, attività ad oggi poco utilizzata nel nostro paese e che prevederebbe attività di informazione ed educazione, attività che per esempio ha come oggetto l'incentivazione di eventi culturali da svolgersi anche all'esterno della scuola nonché coordinamento con iniziative fatte dall'amministrazione pubblica con particolare riguardo alla prevenzione primaria tra i soggetti importanti nell'attività degli educatori di strada. Per eseguire questi strumenti educativi il testo unico prevede l'art. 105 che parla di iniziative di educazione e prevenzione supportati da corsi di formazione per gli insegnanti nonché la possibilità, come si vede al comma 5 di “organizzare corsi di formazione sull'educazione sanitaria, sui danni derivanti ai giovani dall'uso di sostanze stupefacenti nonché sul fenomeno criminoso nel suo insieme”.


Le attribuzioni regionali

Le attribuzioni regionali e provinciali prevedono una serie di competenze fra le quali la possibilità di avvalersi di strutture autorizzate pubbliche e private utili all'analisi delle condizioni cliniche, socio-sanitarie e psicologiche del tossicodipendente, a monitorare i rapporti con la famiglia e l'elaborazione, l'attuazione e la verifica del programma terapeutico, ma anche la progettazione e l'esecuzione di interventi di prevenzione.

La prevenzione

Ciò che è interessante nell'attività dell'educatore di prossimità è la possibilità di poter intervenire prima.
Come prevede dunque la legge la possibilità dell'esistenza di un qualcosa che non sia già un dopo, quando la persona sia già tossicodipendente, sia già in carico ad un programma terapeutico-riabilitativo, o sia colpita da una pena? L'art. 11413 e l'art.11514 danno questi strumenti, ma ad oggi non sono stati molto agiti dalle amministrazioni locali. All'art. 114 vediamo come il perseguimento degli obiettivi di prevenzione e recupero possono essere affidati ai comuni o alle competenti Ausl o alle strutture private di cui all'art.116, ma vi sono anche gli enti ausiliari e in queste possiamo intravedere anche le cooperative del privato sociale, ente a cui appartengono molte delle persone che svolgono il ruolo di educatori di strada. Infatti l'art.115 prevede che “i comuni, le comunità montane, i loro consorzi, i Ser.t., i centri previsti dall'art. 114 (appena visto) possono avvalersi della collaborazione di gruppi di volontaria o degli enti inseriti nell'art. 116, soggetti che svolgono queste attività con finalità di prevenzione del disagio psicosociale, assistenza, cura, riabilitazione, reinserimento del tossicodipendente, ovvero di associazione o enti di loro emanazione con finalità di educazione dei giovani, sviluppo socio-culturale della personalità, formazione professionale ed orientamento al lavoro. I responsabili di questi servizi possono autorizzare persone idonee a frequentare corsi utili all'esercizio dell'opera di prevenzione, recupero e reinserimento.” Laddove venisse utilizzato questo strumento da parte degli enti locali e venissero stipulate delle convenzioni, attraverso questi articoli si potrebbero estendere agli educatori di strada le garanzie previste per il personale medico ed il personale infermieristico. E' chiaro che a monte sarà necessaria l'individuazione di un progetto, la stipula di una convenzione in tal senso, e allora abbiamo la possibilità, anche per chi svolge questo lavoro, di avvalersi del segreto professionale e di poter avere una maggior tutela nell'ambito dell'intervento. E' chiaro che tutte queste disposizioni hanno un limite: se per esempio all'interno di una comunità, nell'ambito di un'ispezione, viene trovato un bilancino e 100 gr. di haschisc quello non è coperto da segreto professionale; c'è sempre un limite da valutare quando i fatti di reato sono così manifesti. Capiamoci, l'operatore non ha un diretto obbligo di denuncia, ma certamente il non operare può far prevedere delle ipotesi di carattere concorsuale. Cosa diversa l'episodio descritto prima, ovvero il vedere l'episodio rado di consumo e passaggio di uno spinello, ebbene riprendendolo un'altra volta ripetiamo che quello si, sarebbe coperto dalle tutele previste attraverso l'adozione degli strumenti appena illustrati.

Parlando di educatori di strada e unità di strada, sottolineiamo che è vero che il testo unico da questo punto di vista sconta il fatto che sia stato emanato nel 1990 e che i successivi interventi in materia non hanno innovato profondamente su questo terreno in un'epoca in cui gli interventi di riduzione del danno si sono fatti più frequenti nei protocolli sanitari, ma comunque vediamo che l'art. 120 prevede il diritto all'anonimato per chi si sottopone a programmi sanitari, ma prevede soprattutto che gli esercenti la professione socio-sanitaria che assistono persone dedite all'uso di sostanze stupefacenti possono avvalersi dell'ausilio del Ser.T. Ed in questo modo possono anche loro essere coperti dalle tutele a cui è soggetto il personale del Ser.T. Quindi possono usufruire anche dell'obbligo di non denuncia derivante dal segreto professionale.
Ritorniamo alla disposizione cardine dell'art.120 comma settimo la quale, qualora estesa anche a chi fa un'attività di prevenzione, può certamente permettere un assorbimento de gravoso compito assegnatogli. Anche l'art. 12215 prevede espressamente nella definizione del programma che “la stessa possa avvenire anche in collaborazione con i centri di cui all'art. 114 o avvalendosi delle cooperative di solidarietà sociale di cui all'art. 115 e da questo punto di vista stipulare iniziative rivolte ad un pieno inserimento sociale attraverso l'orientamento e la formazione professionale, attivita' di pubblica utilita' o di solidarieta' sociale. Nell'ambito dei programmi terapeutici che lo prevedono, possono adottare metodologie di disassuefazione, nonche' trattamenti psico-sociali e farmacologici adeguati. Il servizio per le tossicodipendenze controlla l'attuazione del programma da parte del tossicodipendente.” Attraverso questo disposto dell'art. 122 primo comma e l'adozione degli strumenti di cui agli articoli 114 e 115 del testo unico si potrebbe certamente prevedere una sorta di miglior inquadramento dell'operatore di prossimità al fine di poter permettergli un'estensione delle tutele che ad oggi sono previste per il personale sanitario nello svolgimento del loro delicato compito.
Andiamo a vedere un esempio pratico:
Io, operatore, porto in macchina un ragazzo contattato. Questo ragazzo ha con sé della sostanza stupefacente; certamente sarà difficile prevedere per un organo di polizia un mio addebito concorsuale anche perché io, anche come privato cittadino, non ho l'obbligo di perquisizione e denuncia e quindi potrei benissimo non essermi avveduto del fatto che questa persona porta con sé sostanza stupefacente. E' però vero che il problema può sorgere là dove si va nei luoghi di aggregazione giovanile dove certamente il consumo esiste e dove il proprio intervento può essere da alcuni letto come un evento che agevola l'intenzione del giovane di compiere determinati comportamenti. Penso in particolare alla cessione gratuita o al passaggio di pochi grammi di sostanza stupefacente. In questi casi l'adozione di un protocollo di intervento, l'essere inserito in una cornice normativa differente permetterebbe la possibilità di svolgere la professione educativa in modo molto più corretto, sicuro e garantito. Laddove la tipologia di intervento varia a secondo del luogo e delle modalità di azione della forza pubblica il prevedere anche l'attività di prevenzione estendendo la cornice normativa permetterebbe agli operatori sociali l'avvicinarsi a questi luoghi in modo molto più sicuro da un punto di vista legislativo, certo senza tollerare comportamenti che sono di comprovata cessione di rilevanti quantitativi di sostanza stupefacente. Quello che stupisce è che questi strumenti sono previsti dal testo unico, ma non sono stati quasi mai agiti se non da alcune realtà locali; ciò è preoccupante perché sicuramente si è visto che attraverso gli interventi di prevenzione degli educatori di prossimità si riesce non solo a monitorare il mondo del consumo, ma anche a fare un'attività di prevenzione più efficace. Attraverso la collaborazione con le scuole si potrebbe arrivare ad un terreno di disciplina che sicuramente permette un'azione più efficace. Se la buona volontà nell'intervento è già presente anche al di là delle garanzie esistenti, quello a cui, ripeto, bisogna puntare è una maggiore tutela degli operatori al pari del personale medico e paramedico.
Tutele che mi sembra debbano partire già dalla stesura del progetto ovvero quando si fa il progetto si deve prevedere che, in base agli articoli da te citati, l'intervento debba essere inserito in questa cornice normativa.
Le cooperative per le quali lavorano gli operatori se vengono inserite come enti ausiliari e vengono stipulati accordi dall'ente locale con il ser.t.; allora diviene più facile la possibilità di estendere anche all'operatore socio-sanitario la tutela prevista per i medici e gli esercenti la professione sanitaria come all'art. 200 del codice di procedura penale. Anche se l'operatore socio-sanitario non è solo una figura sanitaria, se il progetto viene caratterizzato come intervento socio-sanitario di prevenzione potrebbe essere possibile questa estensione di tutele.

Rispetto alla tutela del segreto professionale è importantissimo avere tutele legali, ma è anche vero che una chiarezza va posta in essere sempre sia dentro al Ser.t., che in strada. Per noi che lavoriamo nel ser.t. è più chiaro perché la cornice è maggiormente chiara e definita. Il punto è quella situazione di confine dove ti giochi la relazione, ma non solo in quanto vengono messe in discussione nel rapporto con i mondi giovanili la tua identità di operatore. Ciò è vero soprattutto nella professione dell'educatore di strada che deve avere la consapevolezza che stare in quella linea mobile dell'intervento destrutturato vuol dire non perdere mai di visti tutti gli obiettivi del percorso. E' chiaro che il supporto della formazione è fondamentale, mi piacerebbe pensare a degli eventi formativi in comune tra Ser.t., operatori di strada e pubblica polizia perché è solo nell'accettazione del lavoro degli altri e nella comprensione del limite del nostro lavoro evitiamo il rischio del divenire ibrido dell'operatore e oltre i problemi legali l'operatore si può giocare la salute. Oltre le tutele legali il problema rimane il dialogo tra le forze di polizia che devono applicare la legge e chi deve aiutare i ragazzi con modalità e tempi che non sempre coincidono con quelli della legge.



A questo proposito vediamo il caso dell'Inghilterra, dove, sebbene li si sia sempre adottato un modello medico più che un modello penale di regolamentazione degli interventi in materia di sostanze stupefacenti, lì vi sono sicuramente momenti di formazione congiunta. Le forze dell'ordine, loro si, hanno l'obbligo di intervento e denuncia, in Italia poi siamo in un regime di obbligo dell'azione penale16. Sarà quindi necessario un coordinamento ed un' azione congiunta anche perché altrimenti quella chiarezza del ruolo non viene a realizzarsi.
Un'ultima cosa sulle norme: l'art. 12717 prevede col fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga per le regioni, anche la possibilità di realizzare progetti integrati sul territorio di prevenzione primaria, secondaria e terziaria, compresi quelli volti alla riduzione del danno e la diffusione sul territorio di servizi socio-sanitari di primo intervento come le unità di strada. Solo là si parla di questi strumenti e sono i primi strumenti attraverso i quali magari si potrebbe riuscire ad arrivare ad una determinazione congiunta degli ambiti di intervento.

E' chiaro che una determinazione che preveda un intervento non solo in una fase in cui è insorta la malattia o in una fase in cui è insorta la tossicodipendenza, ma anche in una fase di prevenzione permette una maggiore chiarezza degli ambiti di intervento.




Gli educatori sono esposti anche perché spesso non è conosciuto il loro lavoro, quindi anche gli stessi enti che promuovono il loro intervento non ne conoscono i risvolti specifici e si fa fatica, poi, a richiedere questo tipo di tutele. Inoltre a volte ci troviamo di fronte a leggerezze da parte degli educatori che spesso non si pongono il tema dei rischi che corrono quando vanno a lavorare in alcuni contesti.

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