mercoledì 7 aprile 2010
NON PUNIBILE PER ESERCIZIO DI UN DIRITTO LA CONDOTTA DI CHI CON UN BUFFETTO FA CADERE UN CAPPELLO CON EMBLEMI NAZISTI. Nota a sentenza 437/2009 Tribun
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Retelegale Bologna |
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NON PUNIBILE PER ESERCIZIO DI UN DIRITTO LA CONDOTTA DI CHI CON UN BUFFETTO FA CADERE UN CAPPELLO CON EMBLEMI NAZISTI. Nota a sentenza 437/2009 Tribunale di Lanciano.
Il Giudice monocratico del Tribunale di Lanciano , Dr. Francesco marino, ha emesso una interessante sentenza in data29.9.09-6.10.09. Il procedimento penale vedeva imputati 4 giovani antifascisti abruzzesi, assistiti dagli avv. Malandra I. , De Caro E. e Di Bucchianico, Ricucci, per i reati di violenza privata ( art. 610 c.p.) in concorso perché: “costringevano il Si. XXXX YYYYY a togliere il cappello che indossava , riproducente l'aquila e la croce celtica, con minaccia consistita nell'accerchiarlo, girandogli intorno , nel guardarlo in modo provocatorio indicando il cappello e nel proporgli la possibilità, in caso contrario, di subire delle conseguenze molto dannose per la sua persona. In San Vito Chietino il 26.7.2005).
I fatti per come emersi nel corso del dibattimento sono risultati i seguenti: la sera del 26.7.05 era in svolgimento a S. Vito Chietino la festa di “Alleanza Nazionale” ed il giovane militante delpartito Sig. XXXX YYYY si trovava nel luogo della festa indossando un cappellino con visiera che riportava l'effige dell'aquila con la croce cweltica. Ad un certo punto allo stesso si avvicinarono tre/quattro giovani dello stesso paese simpatizzanti di “Rifondazione Comunista” che iniziarono a chiedergli con insistenza di togliersi il copricapo e di consegnarlo a loro . Il gioane , intimidito, si tolse il copricapo ma rifiutò di consegnarlo agli imputati e guardò nella direzione ove era suo zio in cerca di aiuto. Questi sopraggiunse e chiese cosa stesse accadendo. I 4 antagonisti politici del XXX YYY dissero che non volevano edere il simbolo della croce celtica in quanto contrari al nazismo. Intervenne un altro sodale del XXX YYY il quale prese il cappello e se lopose sulla testa e uno dei giovani imputati con un buffetto cercò senza riuscirvi di far cadere il cappello.Ne nacque un'accesa discussione tra i membri delle due fazioni politiche contrapposte, i cui gruppi si erao accresciuti in numero , senza che,. Per fortuna si arrivasse alle mani.
Il Giudice nota che la contrapposizione è avvenuta per motivi politici sostanzialmente riconducibili alla libera espressione del pensiero tutelata dalla nostra Costituzione all'art. 21. tuttavia la condotta dei quattro per sovrabbondanza numerica e tono delle espressioni usate: “se non togli il cappello finisce male” ha sicuramente realizzato una coartazione della volontà della persona offesa che vale a configurare l'elemento materiale del reato di violenza privata. Ciò posto deve rilevarsi che la coartazione posta in essere risulta scriminata alla luce della condotta posta in essere dalla persona offesa in sé costituente reato. Infatti i simboli ostentati sul cappello indossato dal XXXX YYYY, ossia l'aquila e la croce celtica,sono stati ( e sono tuttora) utilizzati da partiti e movimenti di estrema destra in Italia ed in Europa ispirati alle tragiche vicende del fascismo e del nazismo e come tali comunemente riconoscibili ed identificabili. Si tratta di simboli che, per fattoo notorio, caratterizzano iconologicamente organizzazioni, associazioni gruppi che, raccogliendo la “tradizione” culturale del nazismo e del fascismo, coltivano tra i propri scopi l'incitamento alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi e la cui costituzione, pertanto, è vietata dalla Legge italiana ( art 3 III c L n.654 del 1975). Orbene anche l'art 2 del D. Lgs n.122 del 1993 ( c.d. Legge Mancino) punisce come reato l'ostentazione di emblemi o simboli dei movimenti e gruppi di cui all'art 3III c. L. 654/75 in occasione di pubbliche riunioni, ipotesi ricorrente nel caso di specie ( festa di partito). Pertanto la coazione posta in essere dagli odierni imputati, condotta con le modalità non particolarmente aggressive riferite dalla persona offesa, tali quindi da potersi ritenere proporzionate al fatto, può ritenersi giustificata dalla finalità di impedire la commissione di un reato da parte del XXXX YYYY”.
La sentenza in commento offre un interessante ricostruzione della scriminante dell'esercizio di un diritto/adempimento di un dovere ricostruendo correttamente le condizioni per l'applicazione della scriminante in oggetto : quali l'aver compiuto un reato al fine di esercitare un proprio diritto, la proporzionalità tra la condotta posta in essere e il diritto esercitato e il diritto violato, e coerentemente il Giudice frentano fa riferimento a una sentenza della Cassazione che ha stabilito che: “ Ai fini della sussistenza o meno del reato di violenza privata, la coazione deve ritenersi giustificata non solo quando ricorra una delle cause di giustificazione previste dagli artt. 51-54 c.p. ma anche quando la violenza o minaccia sia adoperata per impedire l'esecuzione o la permanenza di un reato... però..anche quando la coazione sia stata usta per impedire la commissione di un reato, non può prescindersi da un criterio di proporzionalità tra il mezzo adoperato e il reato che si intendeva impedire” ( Cass. Pen sez. V 7.6.1988 n. 5423).
Bologna-Chieti 15 marzo 2010
avv. Isidoro Malandra
avv. Elia De Caro ( Retelegale Bologna)
Il Giudice monocratico del Tribunale di Lanciano , Dr. Francesco marino, ha emesso una interessante sentenza in data29.9.09-6.10.09. Il procedimento penale vedeva imputati 4 giovani antifascisti abruzzesi, assistiti dagli avv. Malandra I. , De Caro E. e Di Bucchianico, Ricucci, per i reati di violenza privata ( art. 610 c.p.) in concorso perché: “costringevano il Si. XXXX YYYYY a togliere il cappello che indossava , riproducente l'aquila e la croce celtica, con minaccia consistita nell'accerchiarlo, girandogli intorno , nel guardarlo in modo provocatorio indicando il cappello e nel proporgli la possibilità, in caso contrario, di subire delle conseguenze molto dannose per la sua persona. In San Vito Chietino il 26.7.2005).
I fatti per come emersi nel corso del dibattimento sono risultati i seguenti: la sera del 26.7.05 era in svolgimento a S. Vito Chietino la festa di “Alleanza Nazionale” ed il giovane militante delpartito Sig. XXXX YYYY si trovava nel luogo della festa indossando un cappellino con visiera che riportava l'effige dell'aquila con la croce cweltica. Ad un certo punto allo stesso si avvicinarono tre/quattro giovani dello stesso paese simpatizzanti di “Rifondazione Comunista” che iniziarono a chiedergli con insistenza di togliersi il copricapo e di consegnarlo a loro . Il gioane , intimidito, si tolse il copricapo ma rifiutò di consegnarlo agli imputati e guardò nella direzione ove era suo zio in cerca di aiuto. Questi sopraggiunse e chiese cosa stesse accadendo. I 4 antagonisti politici del XXX YYY dissero che non volevano edere il simbolo della croce celtica in quanto contrari al nazismo. Intervenne un altro sodale del XXX YYY il quale prese il cappello e se lopose sulla testa e uno dei giovani imputati con un buffetto cercò senza riuscirvi di far cadere il cappello.Ne nacque un'accesa discussione tra i membri delle due fazioni politiche contrapposte, i cui gruppi si erao accresciuti in numero , senza che,. Per fortuna si arrivasse alle mani.
Il Giudice nota che la contrapposizione è avvenuta per motivi politici sostanzialmente riconducibili alla libera espressione del pensiero tutelata dalla nostra Costituzione all'art. 21. tuttavia la condotta dei quattro per sovrabbondanza numerica e tono delle espressioni usate: “se non togli il cappello finisce male” ha sicuramente realizzato una coartazione della volontà della persona offesa che vale a configurare l'elemento materiale del reato di violenza privata. Ciò posto deve rilevarsi che la coartazione posta in essere risulta scriminata alla luce della condotta posta in essere dalla persona offesa in sé costituente reato. Infatti i simboli ostentati sul cappello indossato dal XXXX YYYY, ossia l'aquila e la croce celtica,sono stati ( e sono tuttora) utilizzati da partiti e movimenti di estrema destra in Italia ed in Europa ispirati alle tragiche vicende del fascismo e del nazismo e come tali comunemente riconoscibili ed identificabili. Si tratta di simboli che, per fattoo notorio, caratterizzano iconologicamente organizzazioni, associazioni gruppi che, raccogliendo la “tradizione” culturale del nazismo e del fascismo, coltivano tra i propri scopi l'incitamento alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi e la cui costituzione, pertanto, è vietata dalla Legge italiana ( art 3 III c L n.654 del 1975). Orbene anche l'art 2 del D. Lgs n.122 del 1993 ( c.d. Legge Mancino) punisce come reato l'ostentazione di emblemi o simboli dei movimenti e gruppi di cui all'art 3III c. L. 654/75 in occasione di pubbliche riunioni, ipotesi ricorrente nel caso di specie ( festa di partito). Pertanto la coazione posta in essere dagli odierni imputati, condotta con le modalità non particolarmente aggressive riferite dalla persona offesa, tali quindi da potersi ritenere proporzionate al fatto, può ritenersi giustificata dalla finalità di impedire la commissione di un reato da parte del XXXX YYYY”.
La sentenza in commento offre un interessante ricostruzione della scriminante dell'esercizio di un diritto/adempimento di un dovere ricostruendo correttamente le condizioni per l'applicazione della scriminante in oggetto : quali l'aver compiuto un reato al fine di esercitare un proprio diritto, la proporzionalità tra la condotta posta in essere e il diritto esercitato e il diritto violato, e coerentemente il Giudice frentano fa riferimento a una sentenza della Cassazione che ha stabilito che: “ Ai fini della sussistenza o meno del reato di violenza privata, la coazione deve ritenersi giustificata non solo quando ricorra una delle cause di giustificazione previste dagli artt. 51-54 c.p. ma anche quando la violenza o minaccia sia adoperata per impedire l'esecuzione o la permanenza di un reato... però..anche quando la coazione sia stata usta per impedire la commissione di un reato, non può prescindersi da un criterio di proporzionalità tra il mezzo adoperato e il reato che si intendeva impedire” ( Cass. Pen sez. V 7.6.1988 n. 5423).
Bologna-Chieti 15 marzo 2010
avv. Isidoro Malandra
avv. Elia De Caro ( Retelegale Bologna)
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